L'Organizzazione parrocchiale nell'ambito della Chiesa diocesana
La parrocchia di Nosedole ha sempre fatto parte della Diocesi di Mantova. Questo rapporto, essenziale per essere certi di appartenere alla Chiesa voluta da Gesù, nel suo aspetto più appariscente si manifesta nella gestione degli spostamenti del clero, nel conferimento del Sacramento della Confermazione e nella vaga coscienza dell'esistenza di organismi diocesani (Curia). Raramente, come stà avvenendo ora, mediante la Visita pastotale.
In realtà, questo rapporto ha altri momenti che toccano in modo significativo, anche se discreto, la vita della parrocchia. Attraverso le strutture diocesane essa:
- è messa in condizione di partecipare della riflessione sulla comune esperienza di fede: innanzitutto grazie al servizio del Vescovo, poi con le Settimane pastorali, annuale occasione di confronto e di ricerca, e con quello strumento di comunicazione che è il settimanale La Cittadella; in pratica questa riflessione (difficile di per se stessa) che già si realizza poco (e in ambiti ristretti) in parrocchia, ben difficilmente riesce a confrontarsi con ambiti più vasti; nel nostro caso essa viene filtrata dal sacerdote.
- può dare alla carità una dimensione più ampia e concreta; in effetti, mediante la Caritas, le organizzazioni missionarie e altri canali di sapore più burocratico (Università Cattolica, Terra Santa, ecc.) anche la nostra parrocchia partecipa alle iniziative della Chiesa universale; bisogna però osservare che proprio queste forme rischiano di essere un paravento dietro cui si nasconde la sostanziale incapacità di dar corpo a un'esperienza caritativa a misura della propria realtà locale;
- gode del frutto delle vocazioni e del lavoro di un ambiente diocesano che ne permette la maturazione e la formazione (Seminario); da questo punto di vista, pur se spesso discusso o contestato, la grande maggioranza della gente manifesta vivacemente il proprio apprezzamento per la presenza del sacerdote. Nel contempo, però, non sembra che esista un atteggiamento mentale che ne promuova l'apprezzamento. Insomma, il prete è un po' come il becchino: ci deve essere ma non sono molti coloro che lo sceglierebbero come mestiere o che esortano altri (magari i propri figli) a sceglierlo;
- attraverso i servizi di curia, infine, la parrocchia dispone di una certa forma di controllo amministrativo, di consulenza e di sostegno anche economico. Quanto a quest'ultimo la nostra parrocchia ha goduto di un contributo C.E.I. di 15 milioni quando si è trattato di rifare il tetto della canonica. Anche se la cosa è poco appariscente, il legame con la Curia diocesana rende indubbiamente più forte il 'potere contrattuale' della parrocchia, sia in rapporto ai privati che agli Enti pubblici. Permette inoltre di godere di una esperienza nella gestione delle pratiche amministrative che le parrocchie, specialmente quelle piccole, certamente non hanno.

E' antichissima tradizione, anche se diversamente realizzata, che ogni parrocchia sia inserita in un gruppo di altre parrocchie limitrofe che altrove si chiama plebanato o decanato; da noi, dopo il Concilio di Trento, Vicariato. Il sacerdote titolare di una di queste parrocchie (in passato quella più importante: Governolo o Roncoferraro, a seconda dei periodi, attualmente è Villa Garibaldi.) svolge un ruolo primaziale nei confronti delle altre.
Il Vicariato è una struttura territoriale che non gestisce la pastorale in modo autonomo; pensato un tempo per la formazione dei sacerdoti e per facilitare la trasmissione alla base delle disposizioni diocesane, oggi viene visto come servizio all'attività pastorale delle parrocchie:
coordinamento delle attività di interesse comune (preparazione dei catechisti, corso di preparazione al matrimonio, celebrazioni liturgiche vicariali, rapporto con la Curia diocesana, ecc.), promozione della conoscenza e del confronto delle rispettive attività nonché del rapporto tra il clero e i laici.
In pratica questi obiettivi non sempre si realizzano sia per il ruolo preponderante svolto dal clero rispetto ai laici, sia per la difficoltà di realizzare una effettiva comunicazione di esperienze in quanto tradizionalmente le parrocchie sono abituate a considerarsi come un 'hortus conclusus'.

La Parrocchia organizza la propria esperienza avvalendosi dell'apporto del clero e di quello dei laici.
Quanto al primo, a Nosedole ormai da lungo tempo è costituito dal solo Parroco residente che, negli ultimi tempi e per un certo periodo, si è diviso tra l'attività parrocchiale e un servizio diocesano. La sua presenza, continuativa o saltuaria ma comunque essenziale perché possa esistere una comunità cristiana, serve innanzitutto a stabilire il collegamento tra l'esperienza di coloro che in un certo luogo credono in Gesù con la Tradizione della fede in lui trasmessa dalla vivente esperienza della Chiesa universale (Cattolica). In tal modo diventa possibile celebrare nella parrocchia la presenza sacramentale di Cristo. Compete inoltre al sacerdote che gestisce la 'cura' della parrocchia custodirne il patrimonio e rappresentarla nei rapporti con l'ambiente sociale.
E' bene ricordare che questo servizio non può essere compreso come una normale professione, poiché il sacerdozio è un dono che Dio e quel cristiano fanno a una particolare comunità. Non esiste ricompensa adeguata per chi condiziona se stesso e la propria vita al servizio dell'agire di Dio in una comunità cristiana.
Non sempre questo aspetto è avvertito nel suo significato e nelle sue conseguenze. Un po' per le distorsioni del clericalismo un po' per quelle introdotte nella coscienza dei cristiani dalla pressione di una mentalità 'secolare', il sacerdote si trova a volte ad essere declassato ai ruoli di 'stregone', di 'sagrestano' o di 'assistente sociale'.
Di stregone quando gli si chiede di prestarsi a celebrare dei riti di cui non ci si preoccupa di comprendere il senso, di sagrestano quando lo si considera il gestore esclusivo del funzionamento materiale del culto, assistente sociale quando gli si chiedono in prevalenza attività di supplenza sociale (far giocare i bambini, tener uniti i ragazzi, far compagnia ai malati, sostenere i poveri, ecc.).
D'altra parte è lo stesso sacerdote che a volte favorisce queste distorsioni: quando mette in second'ordine il Vangelo non traducendolo nel suo stile di vita, o quando ne dà una lettura tutta compresa nella dimensione cultuale e moralistica, non attenta agli avvenimenti, al costume e al loro 'mistero'.
Quanto ai laici, essi sono non solo la parte più consistente della parrocchia ma anche quella che vive nel modo più vario e problematico la fatica di percepire e attuare la volontà di Dio. E' questa fatica il patrimonio prezioso che essi offrono alla comunità, accumulando un'esperienza che, messa in comune, potrebbe essere lezione di vita che rende più facile il commino comune. In pratica non siamo ancora diventati capaci di mettere in circolazione questa ricchezza. Anche nella nostra parrocchia, il laico non conta in quanto insegna come si vive la fede nella specifica situazione in cui si trova, ma in quanto collabora col sacerdote nel provvedere alle esigenze del suo ministero (specie a quelle cultuali, amministrative, ricreative).
Su questo versante anche a Nosedole vi sono persone che, con un impegno tanto lodevole quanto a volte faticoso, provvedono a mantenere il decoro della chiesa, curandone la pulizia, l'arredo floreale, la pulizia della biancheria, nonchè le altre piccole o grandi incombenze occasionalmente emergenti.
Esiste un gruppo di 'amministratori' che più che svolgere una vera e propria attività amministrativa, si prestano generosamente per far fronte ad alcune necessità: vi è un responsabile per la cassa e il rapporto con la banca; si è avuta una preziosa collaborazione dal tecnico che ha seguito i lavori di rifacimento del tetto della canonica; un'altro importante contributo si è avuto in occasione del crollo di parte del tetto della barchessa; si provvede a mantenere il decoro dell'ambiente circostante la chiesa (sfalcio dell'erba, manutenzione dei serramenti, ecc) o a dotarla e a far funzionare quei mezzi che possono facilitarne il funzionamento (suono campane, Internet, ecc.). Un impegno costante e fruttuoso per la parrocchia (che riceve annualmente un significativo contributo) è svolto da chi organizza il gioco domenicale della tombola cui partecipano un gruppo di donne e di ragazzi.
Tutto questo è non solo importante, ma merita di essere ulteriormente accresciuto e migliorato. Tuttavia, non toglie l'amarezza di constatare l'estrema modestia della partecipazione al 'dialogo cristiano sulla vita quotidiana', specie in tempi di grandi trasformazioni culturali come quelli che stiamo vivendo. La maggior parte di noi si illude ancora di possedere quanto è necessario per far fronte da cristiani alle responsabilità del vivere, sia sul piano della utilizzazione degli 'strumenti della pietà' (vita sacramentale, preghiera, comprensione teologica della fede) sia su quello della coerenza con la fede delle scelte esistenziali.
(Indice)


Gli 'strumenti della pietà' e il modo di utilizzarli
La Preghiera. Pregare significa mettersi in condizione di percepire cosa Dio vuole da noi nella situazione che ci ha dato da vivere. Per riuscirci dobbiamo disporci a comprendere il modo di esprimersi di Dio, e poiché tutto ciò che Dio ha detto si riassume in Gesù Cristo, pregare significa avvicinarsi sempre di più a Gesù.
E' dunque importante che noi riflettiamo attentamente sul modo in cui preghiamo perché da esso dipende la possibilità di "salvare la nostra vita", infatti: "Chi non accumula con me, disperde!". E' vero però che noi non ci troviamo più nella condizione dei discepoli di Gesù che gli chiesero: "Signore, insegnaci a pregare", perché egli ci ha risposto "Dove due o tre sono riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" e quella risposta oggi arriva a noi attraverso la Tradizione della Chiesa; infatti noi siamo quelli di cui Gesù parlava quando disse agli apostoli che egli pregava "... per quelli che per la loro parola " avrebbero creduto in lui. Pertanto dobbiamo chiederci in che modo la nostra comunità parrocchiale ha accolto e 'interpreta' la preghiera della Chiesa.
Sappiamo che l'atto di preghiera più importante in assoluto è la celebrazione della Eucarestia o Messa nel giorno in cui tutti i battezzati che vivono in un certo luogo si riuniscono per far memoria della risurrezione di Gesù.
Le due Messe festive che celebriamo a Nosedole (ore 8,00, preceduta dalla Preghiera di Lodi e 10,45) si sono fatte meno frequentate. La diminuzione della presenza (in ogni caso assai superiore a quel 15/20% indicato come media nazionale) è dovuta alla durata della celebrazione (1 ora) che diversi parrocchiani giudicano eccessiva, ma anche alla difficoltà di seguire una predicazione che, costruendosi sulla Parola annunziata dalla Liturgia, ne presuppone la conoscenza. In compenso l'atmosfera è più raccolta e individualmente partecipata.
Per quanto riguarda la 'partecipazione attiva' dei fedeli, la disponibilità a prestarsi per la lettura della Parola è costante anche se riguarda un numero di persone ristretto e costituito prevalentemente da donne adulte; da un po' di tempo c'è qualche ragazzo in più. Quanto al canto, se per una precisa scelta del parroco è stato escluso il coro delle ragazze (che non solo riusciva a funzionare solo nelle più grandi solennità, ma più che un atto di pietà, appariva come una pura e semplice esibizione canora) si è accresciuta la partecipazione dell'assemblea. Certo non è molto, se messo a confronto con quanto avviene in altre comunità parrocchiali, ma bisogna osservare che, a prescindere da meriti o demeriti della conduzione parrocchiale, è assai più facile trovare collaboratori nelle medie e grandi parrocchie che in quelle come la nostra.
E' da notare che la maggior parte delle persone ha perso l'abitudine di predisporsi nel raccoglimento alla celebrazione (fino a quando il rito non comincia, si stà in chiesa come se si fosse fuori, solo curando di non eccedere con il tono di voce), ma è anche vero che ha cominciato a diffondersi l'abitudine a leggere precedentemente le letture della Liturgia; inoltre coloro che partecipano agli incontri di catechesi sperimentano un maggiore coinvolgimento.
La Messa feriale, da un po' di tempo viene celebrata alle 7,30 di mattina (salvo il martedì, alle 16,00) dopo la preghiera di Lodi. A essa partecipano, in media, 5/6 persone in un contesto di buon raccoglimento. Si tiene una breve predica in occasione dell'Avvento, della Quaresima e delle memorie più importanti.
Aldilà della forma più o meno elaborata della partecipazione dei laici allo svolgimento del rito, si ha spesso l'impressione che esso raramente riesca a sfuggire ad alcuni esiti problematici: il clericalismo, il carattere di 'gioco-spettacolo' (intendendo questi termini nel senso più nobile) che spesso assume la celebrazione, la difficoltà di superare la soglia della fruizione individualistica della preghiera comune. Aldilà di qualche evento occasionale (massimamente i funerali, un po' meno Prime Comunioni e Cresime) raramente si avverte battere in modo unitario il cuore dei fedeli.
Probabilmente si rispecchiano sulle nostre assemblee i cambiamenti intervenuti nel tessuto sociale e che si possono riassumere nella perdita della coesione derivante dal partecipare ad attività comuni (quelle agricole), dal condividere la medesima 'cultura' (fatta di tradizione), dallo scandire il tempo secondo i medesimi ritmi (quelli scanditi dal sole e dalle feste religiose); oggi, la diversità delle attività professionali nonché dei luoghi e degli ambienti in cui queste si svolgono, il partecipare di una 'cultura' che non si condivide ma si impara dai rotocalchi e dalla TV, il progressivo diradarsi della comunicazione tra giovani, adulti e anziani, determinano una sempre maggiore difficoltà ad qualcosa in comune. Certo tutto questo non ha niente di 'diabolico', è anzi la 'normale' conseguenza di un'epoca di profondi e rapidi cambiamenti. E' pertanto da valutare la possibilità questi ci abbiano colti impreparati:
l'esperienza religiosa, troppo spesso intesa come espressione di ciò che è immutabile, definitivo se in passato costituiva un solido punto di riferimento, oggi rischia di assomigliare sempre più a un momento di evasione consolatoria. Tanto migliore quanto più è gradevole, ma comunque sempre una parentesi e quindi, a volte, un lusso (c'è infatti chi non ha tempo di evadere).
Su questo stato di cose, e non solo su questo, influisce pesantemente la sostanziale 'ignoranza' religiosa della gran parte della gente. Per spiegarci con un'immagine: non è molto importante preoccuparsi di come cambiare un pneumatico quando l'automobile funziona e abbiamo il meccanico a portata di telefono; le cose cambiano quando sianmo restati a piedi in un territorio isolato. Non contava molto intendersi di religione quando (che ci si comportasse bene o male) si era tutti d'accordo e c'era abbondanza di preti, ma diventa difficile raccapezzarsi quando ci si scopre diversi e mancano gli 'esperti'.
Dopo l'Eucarestia, fonte e culmine della vita della chiesa, la preghiera con Gesù si esprime massimamente nelle altre celebrazioni sacramentali.
Il Battesimo, (sempre meno frequente a causa del crollo della natalità) viene celebrato quasi sempre la domenica nel corso della Messa delle 10,45, facendo solitamente crescere il livello di partecipazione emotiva dell'assemblea. La preparazione, costituita da un numero variabile di incontri con i genitori, non riesce però a far percepire la 'profondità teologica' dell'avvenimento. Soprattutto non riesce a far passare dalla convinzione tradizionale che vede il Battesimo come atto solenne di incardinazione nel popolo cristiano, a quella che lo intende anche come segno dell'inizio di un cammino di progressiva assunzione dello stile di vita cristiano. Probabilmente, oltre alla difficoltà di cambiare un 'imprinting' radicato in una tradizione secolare e al disagio che accompagna l'ipotesi di assumere atteggiamenti diversi da quelli comuni, c'è la 'pretesa clericale' di trasmetttere con le sole parole la coscienza della 'dimensione pellegrinante' della Chiesa.
La Confermazione ha costituito da parecchio tempo, e in modo particolare in quest'ultimissimo periodo, un'occasione di 'scandalo' in seno alla nostra parrocchia. Il non rispettare le scadenze e i criteri di ammissione tradizionali non è stato accolto come una proposta sulla quale lavorare, ma come un modo per fare delle 'differenze' e per dividere la gioventù. La proposta, diretta a produrre un minimo di coinvolgimento personale nell'esperienza religiosa, sia nella riflessione che nel servizio ha però dimostrato di avvicinarsi all'obbiettivo, anche se solo là dove la famiglia ha collaborato con un atteggiamento di disponibilità e di attenzione all'esperienza religiosa (anche quando a questa attenzione non corrispondeva un comportamento coerente). Dove è mancata questa comunicazione si è innescata una reazione che ha portato all'assunzione di comportamenti (il ricatto della manifestazione davanti alla chiesa) la cui estrema gravità non era probabilmente percepita da chi li ha assunti, ma proprio per questo richiedeva di essere evidenziata con scelte conseguenti.
Aldilà di questi incidenti di percorso, appare sempre più necessario porsi il problema delle condizioni necessarie alla celebrazione di questo sacramento, problema che potrebbe porsi in questo modo: quali sono le condizioni minime che definiscono la maturità cristiana e per le quali si possa, con ragionevole tranquillità, concordare con san Paolo (1 Cor. 1,4-7). Problema la cui soluzione deve avere una portata diocesana e non locale, sia per il suo intrinseco significato teologico, sia per mettere in condizione la gente di capire e non essere messa in condizione di scambiare delle proposte pastorali per estemporanee trovate individuali.
La Penitenza o Confessione costituisce un momento della preghiera comunitaria la cui esperienza non dà adito a effervescenze come quella verificatasi a proposito della Confermazione, ma in compenso suscita interrogativi assai più preoccupanti. Non si tratta tanto del fatto che la gente si confessi poco (e, da noi, prevalentemente al di fuori della Parrocchia), ma soprattutto del fatto che non sa più cosa confessare e come farlo.
A parte quell'ampia categoria di persone che non si stacca dall'antichissima pratica di celebrare questo sacramento in stretta e funzionale relazione ai rari momenti in cui si sente socialmente doveroso il comunicarsi (l'eredità del biglietto pasquale), la frequenza degli altri - rottosi ormai quasi completamente il meccanismo dello 'essere in grazia di Dio per ..' - si è ormai correlata alla determinazione di un ragionevole lasso di tempo tra una confessione delle 'solite cose' e l'altra, salvo l'eventualità di averla 'combinata grossa'. E' infatti emerso, probabilmente, non tanto uno scadimento del 'senso del peccato', quanto il difetto di maturazione cristiana: staccata la connessione tra confessione e una precisa scaletta di comportamenti qualificati come peccaminosi, è apparsa una coscienza morale che non sa collocarsi all'incontro tra vita e Parola e quindi è priva dei criteri che permettono di riconoscere il peccato stesso. Bisogna aggiungere che la pressione delle attuali agenzie di trasmissione culturale (amici, stampa, televisione), ben più potente e persuasiva di quelle antiche (famiglia, prete, maestra), si esercita in un'opera di demolizione delle motivazioni cristiane della morale, favorendo l'elaborazione di una nuova in cui lo spazio della coscienza è sostituito dal 'senso comune'. La riprova di questa situazione è costituita dall'avvertire come assai faticosa, in chi stà maturando un modo diverso di celebrare la propria riconciliazione con Dio e con la Chiesa, la celebrazione del sacramento.
La gravità della situazione non si riconosce solo nell'ambito di una problematica intra-ecclesiale, ma emerge anche sul piano del comune vivere sociale dove sembra di avvertire un continuo scadimento del senso morale.
Anche in relazione al Matrimonio si deve affrontare una situazione assai problematica. Qui il problema non stà principalmente nel momento della preparazione (da noi ormai da tempo gestita a livello vicariale) o in quello della celebrazione rituale, quanto in quello della traduzione del sacramento nella realtà che ne scaturisce, la famiglia.
Della preparazione si può dir poco al di fuori del fatto che, dopo le reazioni di qualche tempo fa, è ormai generalmente accettato che ad essa si debba dedicare un po' di tempo. L'impressione però è che incida ben poco sul successivo matrimonio, soprattutto sulle ragioni di fede che lo dovrebbero motivare. Quanto alla celebrazione, anch'essa poco frequente a Nosedole, difficilmente sfugge alle ragioni dell'emotività, della vanità, dello spettacolo e della convenienza sociale. Si è scelto (con qualche rimostranza da parte dei fioristi) di limitare le esibizioni floro-vivaistiche e di non far cadere il giorno della celebrazione nella domenica per evitare di offrire alla comunità la testimonianza solitamente pessima offerta dagli invitati.
Ma il vero problema, come si è accennato, è costituito dalla vita familiare, dai problemi legati alla convivenza di coppia e al modo di costruirla. Problemi in parte 'vecchi', cioè legati intrinsecamente al rapporto uomo-donna, ad abitudini e mentalità consolidate dal tempo, e 'nuovi', legati ai cambiamenti dell'ambiente sociale e culturale.
Quanto ai primi, alcuni sembrano più significativi:
- dal fatto che nè le famiglie, né la catechesi, nè la scuola, nè la cultura corrente sono capaci di trasmettere una formazione adeguata per aiutare gli sposi a gestire la sessualità: di questo aspetto così bello dell'essere umano, così come Dio l'ha pensato e voluto, o non si parla (ci si vergogna, non si sa cosa dire) o si straparla (la barzelletta 'grassa', l'atteggiamento da rapinatori). Quanto alla norma morale da seguire (quando la si seguiva) sembra consistesse nel ritenere che se 'prima non si può niente' dopo 'si può tutto' (come sembra dicesse Attila agli Unni: "A tavola e a letto non ci vuole rispetto"). In ogni caso, nella direzione lavori sembra che sia il maschio ad aver maggior voce in capitolo;
- dalla diversa gestione dell'autonomia personale, maggiore per il maschio che per la femmina, un po' per le caratteristiche del lavoro domestico (non ci sono ferie, ritmi predeterminati, un compenso quantificabile, ecc.), un po' per l'estrema carenza di proposte offerte alle donne da un piccolo paese come il nostro (non vanno a caccia, a pesca, al bar, ecc.). Quanto ai problemi suscitati dal cambiamento sociale, sembra di avvertire come particolarmente significativi:
- il diffondersi di una promiscuità tra i giovani che, contrariamente a quanto sperato, non sempre favorisce la conoscenza e l'apprezzamento reciproco (come amaramente ha ritenuto di constatare una giovane sposa: "Ho sposato un imbecille");
- la minor stima nei confronti del generare e la tendenza (più o meno conscia) a considerare il bambino alla stregua di un giocattolo;
- la minore disponibilità ad accettare le difficoltà connesse con la convivenza (fragilità dei matrimoni);
- l'espandersi aldilà dell'opportuno sia sul piano temporale che su quello della responsabilità educativa del ruolo della figura materna rispetto a quella paterna.
L'Unzione degli infermi è non solo il Sacramento meno richiesto, ma anche quello più sconosciuto. La scomparsa di una considerazione della morte come avvenimento 'normale' e l'incapacità di parlarne, il fascino crescente esercitato dalle possibilità offerte da 'questa vita' e l'offuscamento del modo di pensare 'l'altra', lo scadimento del senso morale per cui non si avverte più l'urgenza del trovarsi 'in stato di grazia', hanno portato alla conseguenza che alla morte non ci si prepara più e a pensare che l'ideale è 'passar via' senza accorgersene, alla maniera del detto napoletano (un altro travisamento della coscienza cristiana): "Cha avuto, ha avuto, ha avuto; chi ha dato, ha dato, ha dato; scordiamoci il passato .." (ma bisognerebbe riuscire a dirlo agli Ebrei nei confronti dei nazisti o alle madri dei 'desaparecidos' nei confronti dei militari argentini e cileni, ecc.). Da qui l'uso di chiamare il sacerdote (ma ormai anche questo si fa raramente, anche perché molti muoiono all'ospedale) quando il malato è giunto agli estremi.
La tendenza di molti cristiani sembra quella di considerare questa situazione come ineluttabile, come se si trattasse di perdere qualcosa che ormai non è più di alcuna utilità, secondo il principio che del nostro patrimonio di fede si tiene quello che, secondo noi, ci arreca una qualche utilità, mentre si può gettare il resto. A parte l'ulteriore attestazione di quella ignoranza religiosa che abbiamo già incontrato, 'perdere per strada' un Sacramento significa alterare lo stile cristiano e pertanto innescare conseguenze profondamente negative. Come la salute di un corpo è strettamente legata alla concomitante presenza di un insieme di sostanze, così la fruttuosità dell'esperienza cristiana è strettamente legata a un 'uso' appropriato di tutti i Sacramenti; questi infatti non sono cose ma un insieme organico di esperienze che realizza l'agire salvifico di Cristo nell'essere umano.
Si tratta di ripensare il modo in cui affrontiamo i momenti più critici dell'esistenza (malatttia grave, morte) e il loro rapporto con l'esperienza di Cristo. Di valutare se il 'passar via senza accorgersene' sia semplicemente un espediente per realizzare un modo sereno di morire o se abbia dei riflessi sul modo di intendere la vita (ad esempio: se quel comportamento è giusto, è ancora giusto condannare chi fa uso di stupefacenti per affrontare un'ansia che non riesce a sopportare?). Senza contare che proprio quel comportamento ha aperto lo spiraglio attraverso il quale si è cominciato a parlare in modo 'banale' dell'eutanasia. Non sembrano proprio argomenti di nessuna importanza. L'adorazione eucaristica è praticata solo saltuariamente. Alla pratica delle Quarant'Ore, tradizionalmente collocata all'inizio della Settimana Santa (con una partecipazione assai modesta), l'anno scorso si è proposto di sostituire i pomeriggi dei venerdì di Quaresima. E' comunque una pratica il cui attuale tramonto è attribuibile a diverse cause: alcune recenti e altre più antiche. Tra le prime sono indirettamente ascrivibili i cambiamenti della Liturgia: al taglio prevalentemente individualistico che accompagnava la proposta di quest'atto di pietà ha certamente nuociuto lo scadimento dell'atmosfera di sacralità che circondava l'ambiente e i riti della Liturgia. E' così emersa, ancora una volta, la precarietà della comprensione 'teologica' dell'agire dei cristiani.
Tra le cause remote, vi è da considerare che l'Adorazione eucaristica era anche un atto comunitario e sociale, un'amplificazione 'retorica' della genuflessione che accompagnava l'entrata in chiesa, con la quale si esprimeva la coscienza (di probabile origine post-tridentina) di trovarsi di fronte a Colui che tiene in mano le sorti del mondo e a cui si deve rendere omaggio. Specialmente nelle comunità di campagna, dove non esistevano le traduzioni laiche (la Corte), era la visiva rappresentazione della regalità.
Altre forme di preghiera: Quanto alla Liturgia delle ore, oltre alla Domenica, anche i giorni feriali iniziano con la recita comunitaria di Lodi (usando lo specifico formulario del calendario liturgico), mentre quella di Vespri è limitata alle domeniche di Avvento e Quaresima e alle Solennità. Parti della Liturgia delle Ore sono recitate anche privatamente da diverse persone. Quanto al Rosario, è recitato comunitariamente dal Parroco con uno sparuto gruppo di donne le Domeniche in cui non si recitano i Vespri, in chiesa nelle sere del mese di maggio, e nelle case quando si tengono le veglie di preghiera che precedono le esequie. E' una preghiera ancora assai praticata individualmente, specialmente dalle donne anziane.
La preghiera individuale più praticata è però quella che utilizza le formule del Padre nostro, dell'Ave Maria, dell'Eterno riposo, del Gloria e, più raramente, degli Atti di dolore e di speranza. Qua e là sopravvive la recitazione di altri formulari trasmessi per tradizione all'interno di singole famiglie. Qualcuno ha cominciato ad utilizzare i messalini per la preparazione della liturgia domenicale, libretti pensati per la preghiera individuale quotidiana o i foglietti dell'Apostolato della preghiera.
La preghiera cristiana individuale deve comunque confrontarsi, specie tra i giovani ma non solo tra questi, con una certa insofferenza nei confronti di una 'recita' fatta prevalentemente di buona volontà e assai poco di presa di coscienza. Tale insofferenza si traduce nell'allentamento della fedeltà ai tradizionali appuntamenti quotidiani, nella sostituzione delle formule 'tradizionali' con preghiere spontanee in cui gioca più l'emotività che la percezione del 'mistero', nella difficoltà di fare della preghiera uno strumento adeguato ad affrontare le situazioni di crisi, nell'esporsi al fascino di surrogati religiosi meglio gestibili.
Un ulteriore aspetto della preghiera cristiana è quello costituito dalle Benedizioni, gli atti con i quali un 'ministro' sancisce in modo formale l'agire potente di Dio a favore dei 'poveri di spirito', di coloro cioè che si sono lasciati condurre da Lui. E' un'atto di pietà antichissimo e assai desiderato (qualche volta in modo addirittura rabbioso) dalla popolazione, anche se inteso in modo assai più simile alla superstizione che alla sua originaria intenzionalità e comunque, quasi sempre, come svincolato da una effettiva pratica religiosa. E' probabilmente l'atto in cui si sintetizza il sentire religioso più attuale: l'evocazione della divinità per una utilizzazione a basso costo e a pronta consegna della sua potenza al servizio delle necessità degli uomini. Questo stato di cose, e l'inopportunità di operare odiose selezioni tra chi merita la benedizione e chi no, hanno determinato il Parroco a sospendere la celebrazione della Benedizione pasquale in modo indistinto e a praticarla solo in quelle occasioni dove è possibile svolgere una qualche forma di catechesi. Questa sofferta decisione però è stata tanto meno accolta quanto più allentato era il dialogo religioso tra sacerdote e fedeli.
Veniamo così a un tema cruciale dell'esperienza parrocchiale: la Catechesi. Il libro degli Atti degli apostoli, quando vuole descrivere la 'via' cioè il modo in cui si realizzava la vita comune dei discepoli di Gesù, racconta che tra le altre cose essi "erano assidui all'insegnamento degli apostoli". In questo modo attesta che il rapporto con Gesù, per cui appunto anche noi ci diciamo cristiani, non si esprime in un un vago e indistinto ricordo di lui, ma nel 'custodire' la memoria di "tutto ciò che egli ci ha insegnato". Intendendo per custodire non solo il mettere in 'archivio' ciò che ci rimane di lui (il Nuovo Testamento e la Tradizione), ma anche fare di questa memoria la misura della nostra quotidiana esistenza. Insomma vale anche per noi quanto affermava per sé un antico martire cristiano, Ignazio di Antiochia: "Pregate per me, perché non solo io sia detto cristiano, ma perché sia trovato tale". E poiché quella realtà che Gesù chiama 'il mondo' e nella quale siamo immersi, rimescola continuamente le carte del nostro vivere orientandole secondo le proprie corte vedute, è necessario lavorare attentamente affinchè non avvenga che anche a noi il Signore Gesù dica: "Perchè mi dite Signore, Signore, e non fate quello che dico ?"
Perciò, per fare quello che il Signore ci dice, è necessario che singolarmente e comunitariamente mettiamo al centro dell'esperienza della comunità cristiana il confronto tra la Parola, la Tradizione del suo accoglimento, e la realtà di cui siamo fatti e nella quale ci troviamo ad operare: lavoro cui, a seconda dei casi, diamo il nome di Evangelizzazione (annuncio del Vangelo a chi non lo conosce) o di Catechesi (approfondimento comunitario della conoscenza del Vangelo in rapporto all'esistenza).
L'abitudine mentale, e pratica, affidava la prima alle Missioni e la seconda alle Parrocchie; in queste ultime poi il ruolo principale veniva esercitato da volontari la cui età media, prima abbastanza alta, è andata rapidamente abbassandosi (fino ad essere costituita prevalentemente da adolescenti) per poi, specie in questi ultimi tempi, ritornare a salire. Si distingueva infine tra catechesi ai bambini, quella agli adulti (ma spesso erano anziani), e quella svolta in situazioni particolari (preparazione ai Sacramenti).
Questo quadro è oggi in via di profonda evoluzione. Si comincia infatti a capire, più a livello teorico che pratico e più a livello di gerarchia che di popolo, che la trasmissione di una tradizione originata dalla fede non comporta automaticamente la trasmissione di quest'ultima, specialmente in un contesto storico di profondi cambiamenti culturali. Le tradizioni sono scatole che fuori appaiono sostanzialmente sempre le stesse, ma dentro sono potenzialmente in grado di accogliere qualsiasi cosa. E che ciò si stia verificando lo attesta ufficialmente e solennemente il massimo Magistero della chiesa da quando ha cominciato a parlare per il nostro paese della necessità di una 'Nuova Evangelizzazione' (Paolo VI, Giovanni Paolo II, CEI).
Il problema da risolvere, pertanto, si può esprimere così: quali iniziative adottare di fronte al patrimonio della tradizione popolare, che è tanta parte della esperienza religiosa, per farne maturare la 'coscienza teologica' ma senza operarne la distruzione. Agli occhi di chi è dentro la 'pratica pastorale' ciò sembra equivalere al desiderio cui allude un famoso detto popolare:, quello di 'una botte piena e di una moglie ubriaca'. Ma se il 'popolo cristiano', nel suo complesso, non si manifesta molto disposto a darsi da fare (non solo perché percepisce il problema poco o niente, ma anche perché è cosciente di mancare di qualche strumento), chi ha la cosiddetta pratica pastorale (clero e affini), tende a dimenticare che anch'egli partecipa di quel medesimo tradizionalismo. Si tende così' a perpetuare lo 'status quo' nell'attesa che qualcuno ci venga a dire che da qualche altra parte, qualcun'altro ha risolto il problema per noi (il conforto che recano le tesi sulla persistenza del 'sacro').
In realtà la soluzione (poiché una soluzione non può non esserci, visto che la Chiesa è radicata in Dio e non nelle nostre velleità) può essere trovata solo se ci si mette tutti di fronte al problema, guardando alla nostra esperienza religiosa senza ipocrisie e falsi pudori.
Evangelizzazione e Catechesi non si riducono a 'decidere i temi' da discutere o 'nell'usare tecniche e strumenti aggiornati', ma nel riprendere in mano la nostra esperienza tenendo un occhio al Vangelo e l'altro alla realtà.
La proposta pastorale perseguita in Parrocchia nel corso di questi anni è consistita nel lavorare perché 'ciò che dice il Vangelo' non venisse mai dato per scontato, ma fosse invece al centro di tutti i 'discorsi': nella catechesi come nella predicazione e nel modo di valutare e impostare le attività parrocchiali. Si è anche cercato di fare attenzione a 'ciò che avviene nel mondo', non per seguire le mode di turno, ma per cercare di coglierne il 'senso' e mostrare sintonie e divergenze rispetto alle prospettive del Vangelo.
Nella catechesi agli adulti ciò ha significato avviare, con quei pochissimi che 'sono stati al gioco', un lavoro faticoso di confronto di idee, di comportamenti, di valutazioni, di ricerca di un linguaggio comune i cui contenuti fossero in sintonia col Vangelo e non con l'abitudine, di lettura e discussione di avvenimenti e di opinioni, di faticosa utilizzazione degli strumenti del Magistero, di riscoperta e riappropriazione dell'eredità storica della fede. Ne è derivato non un incremento dei cristiani, ma certamente il cambiamento di alcuni, diventati più coscienti del valore della loro fede, della problematica connessa al suo rapporto col 'mondo', più biblicamente e 'teologicamente' dotati.
Nella catechesi ai bambini si è fatta la scelta, di non avvalersi dell'apporto degli adolescenti, tenuto conto della pochezza della loro 'formazione'. Grazie anche all'entità assai modesta della gioventù di Nosedole, la catechesi è perciò stata gestita solamente dal Parroco, aiutato da qualche persona adulta. Si è cercato di aiutare i ragazzi ad avvicinarsi alla Bibbia privilegiando la prospettiva della 'storia della salvezza', cioè della paziente fatica con cui il Padre ha tratto le fila del suo progetto nel corso della storia fino a Gesù. Si è loro chiesto con insistenza di lasciarsi coinvolgere dal catechismo (chiedere spiegazioni, dire ciò che si è capito, ascoltare gli altri), di offrire una disponibilità al servizio della comunità nella partecipazione continua e attiva alla Liturgia (servizio all'altare, lettura, qualche altra piccola attività). Si è cercato di dare continuità, nel passare del tempo, alla proposta dei 'contenuti' di fede.
Il risultato è stato controverso: se da una parte si è determinata una frattura per cui con alcuni il lavoro si è interrotto, dall'altra si è raggiunta una effettiva maturazione sul piano della comprensione di fede, della capacità di esprimerla e nel prendere coscienza delle sue esigenze. E' comunque apparso più che mai evidente il rapporto tra la risposta dei bambini e il retroterra familiare.
Della catechesi in preparazione al Matrimonio e al Battesimo si è già parlato altrove.
Un ultimo aspetto che definisce il modo cristiano di stare davanti a Dio e davanti al mondo è costituito dalla Solidarietà, dalla scelta di 'farsi prossimo', sia all'interno delle comunità di appartenenza (famiglia, parrocchia, paese, nazione) sia verso l'esterno. E' un tema che, benchè stato toccato in altri punti di questo Materiale di discussione, richiede una attenta riflessione perché nella solidarietà (il Vangelo dice carità, ma nel linguaggio comune questa parola ha preso dei risvolti di significato piuttosto discutibili) stà la cartina di tornasole della fede: "Non può amare Dio che non vede, colui non ama il fratello che vede" (e anche la famosa visione del giudizio finale descritta in Matteo 25).
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